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Migranti in Italia: retribuzioni inferiori del 45%, la maglia nera Ocse sulla segregazione lavorativa

Roma, 4 novembre 2025 – In Italia i lavoratori migranti continuano a essere una risorsa fondamentale ma sottovalutata. Il nuovo rapporto Ocse 2025 sulle migrazioni internazionali, presentato a Parigi, fotografa una realtà in cui la segregazione lavorativa resta una delle più forti tra i Paesi analizzati. A parità di età e genere, le retribuzioni dei migranti risultano in media inferiori del 45% rispetto a quelle dei lavoratori nativi: il divario più elevato tra i quindici Paesi esaminati.

Secondo gli autori del rapporto – i ricercatori César Barreto, Ana Damas de Matos e Alexander Hijzen – la segregazione occupazionale è “molto persistente” e in Italia “tocca livelli particolarmente elevati”. Una prigione invisibile che condanna i migranti ai settori meno remunerati, dove il riconoscimento dei titoli di studio e delle competenze professionali resta spesso un miraggio.

Lavoratori essenziali ma marginali

Nei campi, nelle fabbriche, nella ristorazione, nell’assistenza domestica, i migranti svolgono ruoli indispensabili per l’economia italiana, ma restano confinati ai margini del mercato del lavoro. Il 63% del divario salariale dipende dal tipo di settore e di azienda: microimprese e comparti dove i salari sono strutturalmente più bassi.

Altre penalizzazioni derivano dalle ore lavorate inferiori, dal ricorso a part-time involontari e da forme di lavoro grigio. Con il tempo la situazione migliora, ma solo parzialmente: dopo cinque anni il gap retributivo scende al 34% per gli uomini e al 28% per le donne, che comunque partono da salari più bassi.

Sovraqualificazione e ostacoli strutturali

Uno dei dati più preoccupanti riguarda la sovraqualificazione. Nei Paesi Ocse il fenomeno tocca il 44% dei lavoratori stranieri, ma in Italia arriva al 64%, contro il 14% dei nativi. Quasi due migranti su tre svolgono lavori al di sotto delle proprie capacità e formazione.

A pesare è anche la mancata padronanza linguistica e l’assenza di politiche efficaci per il riconoscimento delle qualifiche straniere. L’Ocse invita l’Italia a intervenire su più fronti: mobilità professionale, trasporti locali, lotta alla discriminazione nel mercato immobiliare e accesso ad alloggi a prezzi sostenibili.

Le voci istituzionali

Il segretario generale dell’Ocse Mathias Cormann ha ribadito che “i flussi migratori sono essenziali per affrontare la carenza di manodopera e sostenere la resilienza delle economie”, ma servono politiche migratorie efficaci e strumenti per facilitare l’integrazione.

Sulla stessa linea il commissario europeo alle migrazioni Magnus Brunner, che ha sottolineato come “abbiamo bisogno dei talenti e dell’energia dei migranti regolari”. Tuttavia, ha aggiunto, occorre “gestire in modo sostenibile le migrazioni legali e combattere i trafficanti di esseri umani che sfruttano la vulnerabilità dei più deboli”.

Un mercato del lavoro in lenta ripresa

Nonostante le criticità strutturali, il 2024 ha registrato un miglioramento del mercato del lavoro per i migranti: il tasso di disoccupazione è sceso all’11,4%, contro una media Ocse del 10%.

Sempre nel 2024, l’Italia ha accolto 169.000 migranti di lungo periodo o permanenti, pari al 2% dei flussi mondiali. Si tratta però di un calo del 16% rispetto all’anno precedente. La maggior parte degli ingressi riguarda ricongiungimenti familiari (61%), seguiti dalla libera circolazione Ue (23%), dai migranti professionali (10%) e da quelli umanitari (5%).

Le principali provenienze restano Ucraina, Albania e Romania, ma cresce il flusso dall’Egitto. Le richieste d’asilo sono state 151.000, con un aumento del 16%, ma solo 28.000 sono state accolte.

Un ruolo decisivo per il futuro

In un Paese segnato dall’inverno demografico, la presenza dei migranti sarà sempre più determinante. Eppure, finché non verrà colmato il gap salariale, superata la segregazione lavorativa e riconosciuto il valore delle competenze straniere, l’Italia continuerà a sprecare un enorme potenziale umano ed economico.

Come conclude l’Ocse, la vera integrazione non passa solo dai numeri, ma dalla dignità del lavoro.

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