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Niente welfare per i nuovi arrivati, così toglieranno i sussidi ai comunitari

Il “meccanismo di allerta e salvaguardia” strappato dal Regno Unito all’Ue. Quattro anni di restrizioni per accedere ai benefici e assegni per i figli calcolati in base al Paese dove vivono

 

Roma  – 22 febbraio 2016 – Restrizioni nell’accesso al welfare per i lavoratori romeni, polacchi, italiani o di altri Paesi comunitari.  Per scongiurare l’ipotesi di un’uscita dall’Unione Europea, il Regno Unito ha strappato ai suoi partner un meccanismo che limiterà i diritti di chi varca la Manica per cercare lavoro. E che in futuro potrebbe limitarli anche altrove, in tutti i Paesi Ue che si sentono minacciati dall’immigrazione da altri Stati membri. 

L’ok definitivo è arrivato venerdì scorso dal Consiglio Europeo, dove i capi di stato e di governo dei 28 hanno messo nero su bianco la loro offerta. 

Nelle conclusioni del vertice di promette infatti una modifica  ai regolamento comunitario sulla libera circolazione dei lavoratori, che introdurrà  un “meccanismo di allerta e salvaguardia” in caso di  “afflusso di lavoratori provenienti da altri Stati membri di portata eccezionale e per un periodo di tempo prolungato”. Meccanismo che Londra potrebbe far scattare subito, alla luce dell’incremento dei flussi dopo l’allargamento a Est dell’Unione, ma che in futuro potrà essere utilizzato anche altrove.

Il Regno Unito verrà autorizzato a limitare l’accesso dei nuovi arrivati a sussidi, sconti sulle tasse e altri benefici “per un periodo totale di massimo quattro anni dall’inizio del rapporto di lavoro”. Sarà una limitazione graduale: all’inizio i lavoratori comunitari non accederanno ad alcuna prestazione, ma ne conquisteranno man mano che aumenta la loro anzianità lavorativa. Il meccanismo potrebbe essere attivato per un periodo massimo di sette anni. 

Altre limitazioni riguardano le prestazioni per i figli a carico che vivono ancora nel Paese d’origine, come ad esempio gli assegni familiari. 

Gli importi verranno infatti definiti “sulla base delle condizioni nello Stato membro in cui risiedono i figli” e per condizioni si intendono “il tenore di vita e il livello di prestazioni per figli a carico d’applicazione in detto Stato membro”. In altre parole gli assegni familiari che, per esempio,  un lavoratori romeno nel Regno Unito prenderà per i figli rimasti in Romania, avranno importi molto più vicini a quelli degli assegni familiari romeni che a quelli degli assegni familiari britannici. 

Per ora questa nuova misura riguarderà le nuove richieste di assegni familiari presentate dai lavoratori dell’UE nello Stato membro ospitante. Dal 2020, però, tutti gli Stati membri potranno estendere il nuovo meccanismo di definizione degli importi anche agli assegni familiari già concessi per figli che risiedono in patria.

Infine, cattive notizie anche per i lavoratori di Paesi candidati a entrare nell’Unione Europea, che quando diventeranno cittadini europei non avranno da subito tutti i diritti degli altri lavoratori dell’Unione. Nei trattati di adesione verranno infatti previste “appropriate misure transitorie concernenti la libera circolazione delle persone”, come le restrizioni all’accesso al mercato del lavoro già subite negli anni passati, tra gli altri, da polacchi, romeni e bulgari. 

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Conclusioni del Consiglio europeo del 18 e 19 febbraio 2016

 

EP

 

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