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Immigrazione: 2014, l’anno delle riforme?

Richieste a gran voce da molti, la riforma della Bossi Fini e quella sui diritti di cittadinanza stentano a prendere l’avvio.
Di Giuseppe Casucci, Coord. Nazionale UIL, Dipartimento Politiche Migratorie

Abolizione o superamento dei CIE e del reato di clandestinità; riforma della legge Bossi – Fini; legge organica sul diritto d’asilo; modifica della legge sulla cittadinanza e concessione del voto amministrativo per gli stranieri lungo residenti.  

Sono tutte urgenze conclamate a gran voce dalla società civile e da parte della politica, specie di fronte alle ripetute tragedie che continuano a ripetersi nel Mediterraneo ed alle continue rivolte nei Centri di identificazione ed espulsione. Eppure nel 2013 si è parlato molto, ma non si è mosso nulla. In Parlamento sono state depositate oltre venti proposte di legge di riforma della cittadinanza e di garanzia del diritto di voto amministrativo agli stranieri lungo residenti. Addirittura si è costituito un intergruppo parlamentare, promosso dal PD, che riunisce la maggioranza dei partiti presenti in Parlamento, con l’obiettivo di trovare un punto d’incontro per riforme ormai urgenti.

 Sui diritti di cittadinanza le proposte legislative sono state assegnate, nel giugno scorso,  ai lavori della I Commissione della Camera (Affari Costituzionali). Ma ancora oggi non è chiaro se la Commissione ha lavorato (e come) su questi testi e se esista una calendarizzazione dei lavori; né, tantomeno, a  che punto sia il confronto tra i partiti su queste importanti tematiche. Intanto centinaia di migranti e richiedenti asilo vengono trattenuti nei Centri per periodi insopportabilmente lunghi ed in condizioni spesso intollerabili.

Questa situazione non è più accettabile in un Paese che si considera civile: la direttiva 52 del 2009 (recepita in Italia nel 2012) prevede il trattenimento dei migranti irregolari in questi centri solo come ultima chance e per un tempo il più possibile limitato. Prevede, anzi, che prima di espellere un migrante irregolare, gli si offra l’opportunità del ritorno volontario assistito e comunque la garanzia di una tutela legale. Al contrario, si continua a “parcheggiare” questa gente nei centri di espulsione, la cui vera funzione non è quella di identificarli, ma di luogo di detenzione amministrativa di persone che non hanno commesso alcun delitto. Va infatti ricordato che il reato di immigrazione clandestina non prevede misure di detenzione, ma solo ammende amministrative. E’ giusta comunque l’abolizione del reato di clandestinità, non fosse altro che per al sua inutilità e dannosità nell’ingolfare i tribunali:  una misura che ha visto sistematicamente i giudici decidere il “non luogo a procedere” e che ha prodotto una manciata di sentenze dal 2009.

Per quanto riguarda i CIE, i CARA (per rifugiati) ed i centri di accoglienza, la soluzione non può essere quella della loro “abolizione”.

  Questi centri sono stati istituiti – vale la pena ricordarlo – fin dalla legge Turco Napolitano ed andrebbero riportati alla loro funzione originaria: quella di identificare rapidamente il migrante, per decidere  sul suo diritto o meno di rimanere nel nostro territorio. L’ospitalità nei centri deve essere limitata nel tempo (pochi giorni o alcune settimane) e le condizioni di abitabilità debbono rispettare pienamente i diritti della persona. Anche per quanto riguarda la Bossi Fini, è retorico parlare di una sua  “abolizione”. La legge 189 del 2012, infatti, ha solo in parte modificato il precedente Testo Unico sull’Immigrazione: abolirla, priverebbe lo Stato italiano di tutti gli strumenti di governo dell’immigrazione.

 Si tratta invece di modificare profondamente la normativa, cancellando le norme che violano i diritti della persona a e rendendola funzionale al governo di un fenomeno che in questi anni si è profondamente modificato. Va anche tenuto conto della crisi economica e del forte calo degli arrivi di migranti nel nostro Paese.

Meglio, dunque, un dispositivo che premia l’immigrazione qualificata di cui abbiamo bisogno e che premi con incentivi all’integrazione quei nuovi cittadini che hanno scommesso sul futuro del nostro Paese. Vanno comunque fatte delle scelte di riforma generale di tutta questa tematica, a cominciare dalla cittadinanza. E sarebbe bene che ogni ipotesi di riforma incontri il più largo terreno di incontro possibile tra i partiti. Su temi così importanti infatti, è meglio che le riforme siano condivise, anche per evitare il pericolo di controriforme ad ogni cambio di maggioranza.
 

Giuseppe Casucci, Coord. Nazionale UIL, Dipartimento Politiche Migratorie

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