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Stranieri d’Italia: un esercito di potenziali invisibili?

Roma – 15 gennaio 2013 – Fino a che servivano, erano anche oggetto del contendere – nel bene come nel male. Oggi che la crisi economica morde ed erode le condizioni di lavoro e di vita degli italiani,  per molti partiti  questo esercito che ormai rappresenta un decimo della forza lavoro, va semplicemente  ignorato.

Così molte delle forze politiche che si avviano alle elezioni, tendono a prescindere dai 5 milioni di cittadini stranieri regolarmente residenti, che vengono citati  solo occasionalmente e non sempre  positivamente in questo inizio di campagna elettorale.

E’ un segno dei tempi in cui viviamo e di quella (in) cultura mediatica che ci invita a chiuderci in noi stessi, soli con i nostri problemi, magari con la consolazione della televisione, purtroppo non di rado abilmente utilizzata per condizionar i nostri comportamenti, nello shopping come nella preferenza politica.

Meno male, dirà qualche ben intenzionato: almeno gli immigrati non vengono strumentalizzati per campagne razzistiche a fini elettorali, come è stato fatto in passato con gravi rischi per la stessa integrità della convivenza civile;
Meno male, dirà più di un genitore o di un senza lavoro: almeno rimarrà qualche posto in più per noi e per i nostri figli;
Meno male, dirà qualche qualcun altro: finalmente gli immigrati se ne vanno. Alla fine hanno capito che qui non c’è trippa per gatti.

Purtroppo, tutti questi punti di vista rispondono ad un ragionamento più fatto con la pancia, che con la testa.

Per venire al primo punto di vista, va detto che il non fare campagne xenofobe è certo positivo, ma non coincide con l’assenza in Italia di fatti e comportamenti, razzisti e discriminatori. Una certa (in) cultura è radicata nei luoghi comuni di chi diffida del diverso e di chi vede sempre gli italiani al primo posto (nell’accesso al lavoro, ai servizi sociali, nei percorsi di carriera). Ma il razzismo non è sempre e solo la conseguenza di comportamenti individuali, ma spesso il prodotto di “discriminazioni indirette”,  di provvedimenti ad esclusione, cioè contenuti in norme o regolamenti, anche in spregio del dlgs 215/2003 contro le  discriminazioni ed il razzismo, delle direttive europee o degli stessi principi  costituzionali.

La discriminazione, quindi, non si elimina non parlando dei cambiamenti etnici e culturali che avvengono della nostra società, e che sono in continua evoluzione; quello che conta e di parlarne dell’immigrazione con oggettività, pesando il pro ed i contro di una società a forte gap demografico, dove l’afflusso di stranieri è venuto in parte a compensare il nostro declino, recando con sé un insieme di valori, di specificità e, certo, anche di problemi. Saper guardare con attenzione ed apertura mentale a questo fenomeno, può aiutare a capirlo e forse a governarlo (cosa finora non riuscita ad alcun Governo italiano);

In quanto al secondo luogo comune, quello sul lavoro che manca, è comprensibile che la gente sia preoccupata per il proprio incerto futuro, una incertezza però che colpisce fortemente anche gli stranieri, tanto che molti di loro scelgono di andarsene.
Non staremo qui a spiegare che i lavori occupati dagli immigrati, sono prevalentemente a bassa qualità professionale e spesso rifiutati dagli italiani. Ci limiteremo ad osservare che nell’ultimo decennio l’Italia ha perso 5 milioni di abitanti, gap che entro il 2020 salirà a 12 milioni (su questa tendenza sono d’accordo tutti gli esperti). Senza di loro, dunque, siamo comunque destinati ad un inevitabile declino.

Nel breve periodo certo, la crisi ci può far pensare che se qualche straniero se ne va, non è un gran danno. Ma dobbiamo la crisi non durerà in eterno (almeno si spera) e la ripresa dipende anche dalla crescita della popolazione attiva. In pratica meno abitanti equivale nel medio – lungo periodo a meno ricchezza prodotta e ad un inevitabile scivolamento del nostro Paese verso l’oblio.

Questo vale anche per il terzo punto di vista: non è con la cultura della fortezza assediata e della necessità di respingere i “forestieri” che risolveremo i nostri problemi. L’Italia non siamo solo noi nati qui; l’Italia sono anche loro, quei cittadini nati all’estero che lavorano e vivono accanto a noi ed hanno diritto di esercitare le nostre stesse prerogative, specie gli si chiede di ottemperare a doveri, uguali o superiori ai nostri.

Che i Partiti ( o molti di essi, comunque) non mettano nel loro programma di attività futura  della prossima legislatura  la questione immigrazione non è una bella notizia. E’ come avere di fronte un problema complesso e pretendere di risolverlo ignorandone una parte.

Non è una buona idea, anzi potenzialmente pericolosa, in quanto può avere conseguenze gravi, anche sul piano della convivenza civile nell’Italia di domani.

L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) suggerisce ai partiti 10 punti importanti da tenere in considerazione nella campagna elettorale e nella prossima legislatura:

a)    Mettere mano ai meccanismi per governare i flussi d’ingresso;
b)    Prevedere meccanismi di regolarizzazione “ad personam”;
c)    Rafforzare il diritto al ricongiungimento familiare;
d)    Affrontare il problema dei CIE, diventati ormai centri di detenzione al limite della illegalità;
e)    Assicurare l’esercizio del diritto d’asilo;
f)    Assicurare il diritto alla non discriminazione;
g)    Garantire per gli immigrati condizioni di pari accesso ai servizi sociali ed al lavoro nel Pubblico Impiego;
h)    Garantire processi equi ed unitari;
i)    Riformare la legge sulla cittadinanza e sul diritto di voto.

E’ questa di fatto la base per una discussione un quadro organico di riforma delle leggi concernenti l’Immigrazione e l’asilo. Temi che anche noi consideriamo importanti e sui quali invitiamo tutte le forze politiche a riflettere seriamente.

A cura del Dipartimento Politiche Migratorie della UIL

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