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Minori non accompagnati, la pandemia blocca il percorso di accoglienza

minori non accompagnati

Roma, 1 dicembre 2020 – Il viaggio degli immigrati clandestini verso l’Europa è sempre stato definito “della speranza”. E questo non è un caso: quello che queste persone, donne, uomini, bambini, sono disposti ad affrontare è un vero e proprio incubo. Giorni interi in piccole imbarcazioni precarie, sfidando il mare e le intemperie. Ma anche mesi di prigionia, interi viaggi costretti a rimanere attaccati sotto un camion. Il tutto, pregando di salvarsi e di poter, prima o poi, avere una vita migliore. Tra di loro, non ci sono solo degli adulti, ma anche tanti bambini, adolescenti, minori stranieri non accompagnati che tentano di lasciarsi alle spalle situazioni diverse, ma tutte caratterizzate dall’impossibilità di vivere la propria infanzia.

Minori non accompagnati, i dati

Nel 2020 sono arrivati 4.224 minori non accompagnati. Sono più del doppio rispetto al 2019, quando ne sono giunti sulle nostre coste 1.680. Nel 2018, invece, 3.536. Secondo il ministero del Lavoro, il 31 ottobre erano 6.227 in totale: 6.006 ragazzi, circa il 96,5%, e 221 ragazze, il 3,5%. Per la maggior parte, i giovani maschi hanno tra i 16 o i 17 anni: si parla infatti dell’88%. Le prime tre nazionalità sono Bangladesh (1.270), Albania (1.095) e Tunisia (695). Guardando le minori, invece, l’età media si abbassa: il 64,4% sono sedicenni e diciassettenni. Ragazze e bambine vengono in particolare da Albania (41), Costa d’Avorio (33) e Nigeria (22).

Dietro a questi numeri si nascondono tante storie, vite spezzate da una realtà che non hanno potuto scegliere. Una testimonianza è quella di Abou Diakite, un giovane nato nel 2005 nella città ivoriana di Daloa, partito già orfano all’età di 13 anni insieme ad alcuni amici. Ha attraversato l’Algeria, poi la Libia, e lì è stato rinchiuso per mesi in un centro di prigionia finché un giorno non è riuscito a imbarcarsi per tentare di attraversare, e affrontare, il mare. Il 10 settembre viene soccorso dalla Ong Open Arms. Il 5 ottobre, poi, muore all’ospedale Ingrassia di Palermo. Tra il suo arrivo e il suo ultimo respiro ci sono una settimana sull’imbarcazione umanitaria e il trasferimento sulla nave quarantena Allegra, da cui viene evacuato con urgenza per le sue condizioni di salute.

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La storia di Abou Diakite

Ancora non si sa che cosa l’abbia ucciso. La tutrice era stata nominata dal tribunale per i minori di Palermo il 1 ottobre, quando il ragazzo era già ricoverato. Secondo la “legge Zampa”, la nomina sarebbe dovuta avvenire entro le 72 ore dall’arrivo. La quarantena sulle navi, però, rompe un ingranaggio di questo meccanismo, ovvero il vincolo territoriale necessario alla procedura. E, di fatto, ferma il tempo. Dopo questo tragico avvenimento, diverse associazioni siciliane guidate dal garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza Pasquale D’Andrea si sono attivate per chiedere di cambiare il sistema. Dal Viminale hanno fatto sapere che ora l’indicazione è quella di cercare spazi idonei a terra, e che al momento non ci sono minori accompagnati sulle navi quarantena.

La nostra azione ha avuto un risultato positivo. E’ stato anche deciso che fino a quanto i ragazzi non entrano nel sistema di accoglienza, la Croce rossa deve fare le veci del tutore”, ha sottolineato D’Andrea.

Minori non accompagnati, in Sicilia sono 1.402

Ma la pandemia ha inciso anche sui ragazzi che già erano nel territorio italiano. Le lezioni interrotte, così come le relazioni sociali limitate e le attività di svago sospese hanno causato non pochi disagi ai bambini e ai ragazzi di tutte le nazionalità. Immaginate cosa possa significare per un giovane che si trova in un Paese che non è il suo, con una lingua che non conosce e lontano dai suoi genitori e parenti. La Sicilia è la regione che ne ospita il maggior numero: 1.402. Nelle comunità di accoglienza di Palermo, il lockdown iniziato a marzo è durato un mese in più per prudenza. “Restare chiusi per tanto tempo ha fatto riemergere fenomeni di disturbo post-traumatico. Molti, conte dovute differenze, hanno rivissuto il sentimento della prigionia libica”, ha spiegato Maria Chiara Monti, etnopsicologa del Centro Penc che segue quasi 40 minori non accompagnati nel capoluogo siciliano.

“Con la seconda ondata sono arrivati i contagi. Un’esperienza nuova, di fronte alla quale i ragazzi sono impreparati. Alcuni non accettano la quarantena o il trasferimento nei Covid Hotel perchè sono asintomatici e non mettono a fuoco che la positività costituisce un pericolo. C’è chi ha risposto con una negazione, non accettando il risultato del tampone, o con sospetti e paranoie che sono anche esiti di storie pregresse di violenza subita e sfiducia verso le Istituzioni“, ha aggiunto Monti.

“Serve un prolungamento del periodo di accoglienza”

Il percorso di accoglienza in Italia termina tra i 18 e i 21 anni. A quel punto i ragazzi dovrebbero aver imparato l’italiano, ottenuto un permesso di soggiorno e magari trovato anche un lavoro. Con la pandemia, ovviamente, tutto questo si è bloccato. “Per rimanere nelle comunità da maggiorenni serve una decisione che il tribunale prende in base ai percorsi formativi, linguistici e di inclusione. Ma ora sono tutti fermi. E’ necessario che i tribunali dispongano il prolungamento di accoglienza e permesso di soggiorno per affidamento a prescindere dai percorsi”, ha commentato Erminia Rizzi dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione.

Lo stesso vale anche per chi stava per uscire dal percorso. “I neomaggiorenni stanno vivendo un periodo difficile. Per convertire il documento in un permesso per lavoro serve un contratto, ma le assunzioni sono ferme. Soprattutto dove questi ragazzi sono generalmente impiegati: ristoranti, alberghi, bar, settore turistico. Chi invece non ha un impiego e deve chiedere il permesso per attesa occupazione entra in una giungla”, ha spiegato Gianluca Dicandia, avvocato di CivicoZero Onlus. Per farlo, infatti, bisogna chiedere dei documenti che i ragazzi non hanno, e farseli spedire dal Paese di origine non è affatto semplice. In più, al momento, le ambasciate o sono chiuse o non rilasciano i passaporti. E questo li può trasformare in un attimo in clandestini.

Durante la prima ondata il governo ha prolungato i permessi in scadenza fino al 31 ottobre. Come ha sottolineato Dicandia, però, “l’emergenza non è finita quest’estate”, e ora sono di nuovo da capo.

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